Prof. Mario Faraone

 

Letteratura Inglese per il DAMS e Scienze e Tecniche dell’Interculturalità dell’Università di Trieste

 

Commenti degli studenti allo spettacolo Sogno di una notte di Mezza Estate

per la regia di Francesco Summo

Castelsangiovanni (PC) 4 maggio 2007

 

L'esperienza di questo "viaggio d'istruzione" è stata davvero ricca e coinvolgente. Gli studenti hanno potuto confrontarsi con il testo "rappresentato" e non poche sono state le sorprese rispetto a una generale aspettativa formulata dopo numerose lezioni dedicate all'opera di Shakespeare. Una osa è il testo "scritto", ben altro e il suo allestimento teatrale, che deve tenere conto di necessità personali, datazione del testo, voglia di sperimentare, codici pittorici, musicali e visivi sempre diversi ogni volta che si procede ad allestirlo nuovamente.

E non sono mancate anche le piccole delusioni. Ma, in generale, la soddisfazione ha contraddistinto i commenti degli studenti il giorno dopo, durante l'incontro con il regista e la compagnia, e nel corso del viaggio di ritorno a Trieste, durante una "lezione" corale tenuta in treno.

Su proposta del regista, Maestro Francesco Summo, ho proposto agli studenti di redigere una breve e personale "recensione" dello spettacolo, proposta accolta con entusiasmo, e che ha riscosso l'adesione di gran parte degli studenti partecipanti al "viaggio d'istruzione". La compagnia delle 13 File è rimasta entusiasta dai commenti alcuni dei quali sono stati ritenuti utili per una personale riflessione sul testo di Shakespeare e su come trattare i suoi personaggi.

Ho deciso di pubblicare in questo sito queste brevi riflessioni, in modo da dare un seguito allo sforzo di chi ha voluto aderire all'iniziativa.

Roberta “Puck” Tommasi

 

“Sogno di una Notte di Mezza Estate” di William Shakespeare. Una delle commedie più celebri e rappresentate del più grande drammaturgo di tutti i tempi. Una commedia che, proprio perché già messa in scena un’infinità di volte da diverse compagnie teatrali di maggiore o minore spessore, si presenta al regista come una sfida con cui confrontarsi. Necessario è far attenzione a non cadere sul ripetitivo, a non scivolare su canoni rappresentativi che il pubblico conosce già e che potrebbero annoiarlo o deluderlo. Al contempo rimane però necessaria una certa fedeltà al testo originale, affinché anche il meno ‘maturo’ degli spettatori possa capire di cosa si sta parlando. Originalità e tradizione mescolate al punto giusto sono, quindi, quanto si spera di ottenere.

Castel San Giovanni (Piacenza), 4 maggio 2007. La Compagnia Teatrale delle 13 File guidata dal regista Francesco Summo raccoglie la sfida – poiché come affermerà poi il regista stesso “portare sul palcoscenico Shakespeare per un regista di teatro è sempre una sfida” – e si cimenta nella rappresentazione del Sogno. Sono le 21, il sipario sta per aprirsi e gli attori stanno per proporci il loro spettacolo. Ognuno degli spettatori sta per scoprire se secondo lui attori e regista hanno vinto la sfida oppure no, ognuno sta per avere le proprie impressioni e.. perché no.. sta per provare delle emozioni!

Per quanto mi riguarda in prima persona, non essendo un esperta o una studiosa di teatro, non credo di poter esprimere giudizi concernenti la bontà o meno della rappresentazione, né credo di poter fare un analisi tecnica particolarmente approfondita. Quello che però mi è lecito fare è esprimere alcune impressioni ed opinioni personali, sottolineare quanto più mi ha colpito e ricordare quanto invece mi ha fatto sorgere qualche perplessità.

Essendomi concentrata anche durante le lezioni all’università su ciò che distingueva le due dimensioni del razionale e del sogno e delle differenze che contraddistinguono i personaggi e le azioni che a queste due dimensioni appartengono, la prima cosa che mia ha colpito dello spettacolo è appunto il modo in cui queste differenze sono state riproposte sul palcoscenico. Interessante mi è sembrato far parlare Titania, Oberon e Puck con forme dialettali, anche molto strette, distinguendole così in modo abbastanza netto da Teseo, Ippolita e i quattro amanti. Quest’uso del dialetto si sposa inoltre con un eloquente linguaggio corporeo che rende semplice la comprensione del tutto anche a chi, come la sottoscritta, non sarebbe stata probabilmente in grado di capire gran parte di quanto detto in piacentino. A tal proposito vorrei ricordare il personaggio di Titania, Paola Santini, forse quello che tra i personaggi della magia, più mi è sembrato intenso ed efficace. 

Allontanandomi dalla dimensione del magico, anche se non poi molto, vorrei ricordare uno splendido Rocchetto, interpretato da Bruna Molaschi, capace di essere tanto vicino e fedele al testo, quanto ricco di spunti nuovi e originali. Decisamente capace di arrivare al pubblico e di farlo ridere con la simpatica supponenza che gli è intrinseca.

Un personaggio che invece, secondo il mio umile punto di vista, seppur simpatico e giocherellone  è rimasto forse un po’ troppo tenue è quello di Puck. Caratterizzato per natura da un pizzico di cattiveria rimane troppo poco incisivo nella messa in scena, soprattutto per quanto riguarda il monologo conclusivo della commedia, dal qual dovrebbero emergere tutte queste caratteristiche dello spiritello demoniaco (soprattutto se nello spettacolo si e ` scelto di chiamarlo Bertain o simili nomignoli molto vicini a quello dei due nomi dello spirito che più richiamava la sua essenza demoniaca).

Complessivamente mi è sembrata una rappresentazione divertente e piacevole con degli spunti di originalità da non sottovalutare. Secondo il mio punto di vista quindi, regista e attori possono considerarsi i vincitori  della sfida di cui parlavo prima!

 

Francesca Ban

 

Cosa dire di questo “Sogno di una notte di mezza estate “ in versione piacentina?

Se devo essere sincera, in un primo momento mi ha lasciata un po’ perplessa  su alcuni punti, a cominciare proprio dal dialetto. Infatti nel bucolico mondo delle fate,non si parlava con il linguaggio poetico e nobile con cui Shakespeare faceva esprimere i 2 sovrani, in piena crisi amorosa Oberon e Titania,e i lori servitori: le varie fatine e il birichino Puck,  bensì nel dialetto locale. Ciò sicuramente avrà fatto sorridere e divertire gli abitanti del posto, ma noi che venivamo da fuori, abbiamo fatto un po’ di fatica a comprendere i dialoghi e le battute. Però il giorno dopo, il regista e gli attori, ci hanno spiegato il motivo per cui hanno fatto questa scelta, e il grande lavoro di ricerca che hanno svolto per arrivare a questo risultato,ha fatto apprezzare il loro lavoro e la loro fatica,per dare un tocco di novità alla stupenda opera shakespeariana. Sì perché dopotutto il teatro è anche questo: sperimentazione, novità,interpretazione e immaginazione. Anche la parte dedicata ai straccioni –lavoratori aspiranti attori, è stata rivista e modificata su alcune battute,sempre svolgendo un grande lavoro di ricerca e rilettura dei testo. Le modifiche apportate al testo su questi punti,le ho trovate divertenti e geniali, in particolar modo quelle dette dal buon egocentrico Bottom (roketto), che una volta mutato in asino acquista un accento inglese davvero esilarante. Quindi il regista  ha giocato con il linguaggio, disponendo i stili linguistici su vari piani: quello nobile e alto della polis, quello basso e in prosa degli artigiani e quello in dialetto del bosco. Una scelta tutto sommato da apprezzare per l idea nuova e originale. Per quanto concerne la scenografia e costumi,li ho trovati un po’ spartani e semplicistici, però bisogna tenere conto che i mezzi sono limitati, e si richiede un piccolo sforzo di immaginazione allo spettatore. Una cosa però che ho particolarmente apprezzato è stata la colta citazione al quadro la Pala di Brera di Piero della Francesca, con le norme uovo che pendeva dal soffitto, artista innovativo e grande conoscitore della prospettiva. Parlando degli attori e della loro interpretazione invece,quello che mi ha coinvolto e divertito di più è stato sicuramente Bottom(roketto).Molto brava l attrice a far emergere il suo ego da super uomo, e anche spassosissima quando faceva l'asino dall’ accento British. Simpatici anche Oberon e Puck, quest’ultimo vivace e impegnato in intense giravolte sul palco.Bravi i 4 amanti,forse non mi ha convinto tanto Elena non per la sua interpretazione del personaggio ma per come era vestita,troppo appariscente. Brave le attrici anche di Ippolita e Titania, l ‘unica cosa non sono d’ accordo con l'interpretazione che il regista ha dato al loro carattere. I 2 personaggi sono 2 donne forti , caste con dei forti ideali di moralità, il regista le ha trasformate in 2 femme fatale sfatando un po’ il mito della loro purezza. Ci ha spiegato anche il motivo di questa scelta ma non mi ha convinto pienamente. Bravi sicuramente anche tutti gli altri membri del cast, per l impegno e lo sforzo messo per far sì che lo spettacolo venga il meglio possibile.

Molto interessante è stato l incontro avvenuto con il regista e gli attori  il giorno successivo. Discutere con loro sullo spettacolo è stato veramente illuminate,anche per capire meglio le loro scelte e le loro interpretazioni. Ho trovato molto preparato il regista, che spiegava entusiasta le motivazioni che lo hanno spinto a modificare parzialmente il testo. Gli attori disponibili e simpatici in particolar modo l'attrice che interpretava Bottom, commossa dalla nostra partecipata presenza. Sono un gruppo veramente unito che crede in ciò che fa, e ho notato il grande impegno che hanno messo per far riuscire al meglio la recita. In conclusione, posso dire che è stata un esperienza costruttiva e positiva,sono dell’ idea che discutere così di un testo con il regista e attori, aiuti a crescere intellettualmente la persona, e farla immergere totalmente in quel fantastico mondo magico che è il teatro.

 

Cristina Camilla Corazza

 

Le prime cose che mi sono saltate agli occhi sono state l’impegno e la volontà che hanno impiegato tutti i membri della compagnia per andare in scena. Non era difficile notare che non tutti gli attori recitavano ad un livello professionistico, ma ciò non ha compromesso il buon esito della rappresentazione.

Mi ha fatto sorridere vedere che ogni tanto spuntava dagli angoli del sipario qualche occhio curioso che sbirciava la platea, sintomo della voglia di fare un bello spettacolo per un pubblico che apprezza gli sforzi di una compagnia di provincia che si impegna a crescere di anno in anno.

Il personaggio che certamente ha fatto breccia è stato Rocchetto-Piramo che credo abbia reso molto bene la volontà di primeggiare e l’ignoranza da popolano che caratterizzano il personaggio shakespeariano. Poi l’affetto che la signora Bruna ci ha dimostrato durante l’incontro della mattina dopo lo spettacolo con parte della compagnia è stato davvero unico e indimenticabile.

Altre interpretazioni che mi sono particolarmente piaciute sono state quelle di Titania e dei quatto giovani innamorati e in particolare di Lisandro e Demetrio che hanno colpito per la loro vitalità.

Esilarante è stata la rappresentazione della “tragedia” di Piramo e Tisbe in cui la verve di Rocchetto-Piramo, Tisbe, Muro e Leone sono state davvero incisive.

Leggermente sottotono mi sono apparsi i personaggi della corte di Atene, ma sono sicura che, con qualche aggiustatina nelle intenzioni sia a livello vocale che fisico, il miglioramento è inevitabile.

Interessante è stata la scelta di far pendere una gigantesca forma ovoidale bianca sul palcoscenico. Questa sorta di uovo lasciava spazio a numerose e diverse interpretazioni: c’è chi ha subito pensato alla “Pala di Brera” di Piero della Francesca, c’è chi l’ha visto come un simbolo di rinascita e metamorfosi (quindi in sintonia con uno dei temi fondanti del Sogno) e chi l’ ha visto come un gigantesco occhio che incombe sulla testa dei personaggi. A teatro, lasciare qualche margine interpretativo al pubblico, secondo me, è molto importante poiché l’arte vive di interpretazioni e il teatro è la forma d’arte che più ha bisogno di rinnovarsi e di essere sempre nuova, fresca e stimolante e per fare questo necessita dell’originalità registica che in questo “Sogno di una notte di mezza estate” non è venuta a mancare.

 

Eleonora Macovez

 

Inizialmente lo spettacolo non mi ha particolarmente entusiasmato, sarà stata la stanchezza del viaggio o forse il fatto che gran parte sia stata recitata in dialetto piacentino, ma personalmente ho apprezzato lo spettacolo dopo l'incontro col regista e gli attori poiché ho capito le scelte della scenografia e della messa in scena.

Tutta la prima scena mancava di dinamicità; appena con l'entrata in scena di Bottom (Rocchetto) la storia ha cominciato a prender vita e ad entusiasmarmi grazie allo straordinario senso di gruppo che si è creato tra gli operai commedianti e alla capacità di Rocchetto di tenere in pugno la scena!

E' curioso come di primo impatto lo spettacolo non mi abbia particolarmente colpito e come, invece, dopo aver ascoltato le motivazioni dei fautori dello stesso, sia riuscita a vedere tutto sotto un'altra luce e ad apprezzare molto di più...

Ad ogni modo è stata una bella esperienza che ci ha permesso di vedere da vicino i meccanismi intrinsechi del teatro e tutte le tecniche adottate per mettere in scena un'opera!

 

Fabiana Pratillo

 

Uno spettacolo divertente e decisamente ben riuscito in cui i protagonisti hanno mostrato una grande preparazione il tutto orchestrato dal regista Francesco Summo che con abilità li ha diretti al fine di mettere in scena "Sogno di una notte di mezza estate".

L'originalità è riscontrabile nell'uso del dialetto piacentino       limitato però all'ambito del mondo delle fate e dei commedianti. Questo l'ingrediente saliente che ha molto divertito la platea che con attenzione seguiva il filo della rappresentazione partecipando attivamente alle scene più comiche, grazie soprattutto alla bravura del personaggio di Bottom, in una originale trasposizione del personaggio shakespeariano.

Poco incisivo il personaggio di Ippolita seppur marginale nel testo originale, buffa e forse eccessivamente goffa Elena ridicolizzata anche dall'abbigliamento.

Nel complesso l'impressione è decisamente positiva, traspariva l'entusiasmo degli attori e la loro grande passione per il teatro e credo che sia questo ciò che fa la differenza e ti permette di esclamare alla fine dello spettacolo "Mi è piaciuto!"

 

Carolina Roversi

 

“Meno male che conoscevamo il testo altrimenti non avremmo capito nulla”….questa la frase che è più rimbalzata di bocca in bocca la sera di venerdì 4 maggio al termine della messa in scena al teatro comunale di Castel Sangiovanni di uno strano “Sogno di una notte di mezza estate”.

L’adattamento del testo shakespeariano fatto dal regista Francesco Summo ha un po’ stupito tutti anche se è stata un’idea brillante, nonostante lui predichi che il teatro non sia fatto di “idee”, che ben si adattava a quello che il testo recita:il mondo magico di fate e folletti legato al mondo popolare e, così, al dialetto.

Lo spettacolo messo in scena dal teatro delle 13 file, che ha chiuso la stagione di prosa del comunale, ha visto proiettarsi sul palco 17 interpreti, molto applauditi e graditi dal pubblico locale.

Nonostante per questi poveri studenti triestini il dialetto piacentino sia stato un ostacolo la bravura di una Titania, regina delle fate, paragonata a una Crudelia Demon, e di Oberon, re degli elfi e “padrone “ di Puck, paragonato al Grillo Parlante, sono state da sottolineare.

Dove la parola non ci aiutava nella comprensione, la loro gestualità e bravura nel muoversi sul palcoscenico ci hanno fatto comprendere comunque il senso di ciò che veniva detto.

Spettacolare l’interpretazione di Bottom, l’artigiano, o come denominato in questo adattamento, Rocchetto, che ha saputo rendere le simpatia, il ridicolo, l’ironia del personaggio arrivando al pubblico e colpendolo. Straordinaria la parte in quell’inglese dall’accento aristocratico per dare più enfasi al discorso ed esasperare la figura dell’asino.

Questi i personaggi che hanno colpito maggiormente durante la serata, senza nulla togliere agli altri interpreti impegnati nella rappresentazione che ben hanno reso giustizia al testo.

Interessante la messa in scena del quinto atto visto il taglio di vari personaggi e di dialoghi, azzeccato il modo di rendere la recita finale degli artigiani.

Gli abiti non hanno particolarmente colpito, forse strani o concepiti in un modo che forse al pubblico non è arrivato.

La scenografia neutra con questo mega uovo penzolante ha caratterizzato l’intera messa in scena.

Un grazie per la collaborazione e il confronto avuto il giorno dopo per capire e comprendere le modalità e le idee avute per l’adattamento con il regista Summo e alcuni attori della compagnia castellana.

Sperando in un altro Shakespeare nel prossimo futuro.

 

Pamela Tavano

 

Si apre il sipario e mi appare dinnanzi agli occhi un enorme uovo,che grava e pesa inquietandomi. L'uovo, simbolo di vita, rinnovamento, magia. Mi richiama immediatamente alla mente la famosa pala d'altare di Piero Della Francesca. Ennesimo conferma dello stretto legame tra forme d'espressione che vanno a fondersi inevitabilmente sotto il termine “Arte”.

Si apre con questa riflessione e il confronto tra me e “Sogno di una notte di mezza estate”, spettacolo allestito dal laboratorio delle Tredici File con la firma di Francesco Summo.

Spettacolo delizioso, intenso, ritmato, costellato da personaggi quasi indimenticabili ed interiormente strutturati.

Particolarità della messa in scena è l'introduzione del dialetto piacentino, che scinde quasi, i vari livelli di narrazione. Legato al mondo delle fate e degli artigiani, traccia una linea netta tra il mondo della razionalità e quello della irrazionalità. A mio parere, rappresenta uno dei punti di forza di questo spettacolo. Pur essendo io completamente all'oscuro del dialetto in questione non mi è risultato difficile comprendere il senso dell'opera e le caratteristiche dei vari personaggi. Trovo, anzi, che questa “innovazione” abbia dato ancora più energia e personalità allo spettacolo, dandogli quel tocco in più. Questo dialetto con sonorità simili al francese, abbinato alle evidenti doti espressive degli attori è riuscito affascinarmi, lasciandomi infine con un sorriso sulle labbra. Questo uso del dialetto mi porta direttamente al testo di partenza dove lo stesso Shakespeare scinde il mondo del razionale(quello umano) e dell'irrazionale(quello delle fate) attraverso uno stratagemma linguistico.

Suppongo che il regista abbia di proposito curato con attenzione e acume quella che è la genesi del testo. A conferma di ciò intendo spendere qualche parola a proposito della scenografia: scarna, semplice, ma di grande spessore. In taluni momenti il contesto spaziale viene delimitato solo da luci. E questo non può non richiamare alla mente lo stile del teatro elisabettiano, altrettanto minimale, dove al centro regna la parola.

E' come se Francesco Summo avesse attinto a piene mani dall'enorme contenitore dalla storia del teatro, per poi manipolarlo, plasmarlo, come creta, mettendoci dettagli e vezzi, che danno all'insieme un'impronta molto personale e paradossalmente scollegata da qualunque relazione temporale.

Infine il mio entusiasmo va a tutti gli attori, ben strutturati e solidi, ma soprattuto ad una geniale Titania. La Titania che s'infervora, urla, si dimena, perfettamente conscia della propria carnalità e sessualità, lunatica ed autoritaria, talvolta sguaiata. Ne emerge un personaggio di estremo carisma, non privo di ironia e spessore, magistralmente costruito, che richiama, evidentemente le francesi dei famosi caffé parigini d'inizio secolo, lasciando in bocca un leggero retrogusto retrò.

Di fronte a questo spettacolo la mia opinione non può che essere positiva. L'impressione è che sia stato cresciuto, nutrito, curato, accudito da tutti coloro che vi hanno lavorato, con estremo amore e sensibilità.

Quando il sipario si chiude, quell'enorme uovo bianco, non mi inquieta più, perchè sorrido di fronte al rinnovarsi e rigenerarsi dell'inarrestabile vitalità dell'arte.  . 

 

Giulia Terzani

 

L’opera shakesperiana rivive sul palcoscenico del teatro Verdi di Castelsangiovanni grazie alla regia di Francesco Summo e alle buone interpretazioni degli attori.

L’opera si basa, principalmente, sulla contrapposizione di due mondi antitetici: quello mitico di Atene e quello magico del bosco; la diversità d’ambientazione è ben resa dall’uso di due linguaggi diversi, nel primo caso viene utilizzato un italiano perfetto, mentre nel secondo viene usato il dialetto. A dividere queste due sfere, mitica e magica, vi è un terzo mondo, un mondo a metà strada tra i primi due che parla, appunto, un misto di italiano e dialetto, una lingua bistratta e piena di sgrammaticature.

L’opera, nel complesso, è facilmente godibile anche da persone che (come noi) non conoscono il dialetto piacentino, in quanto la buona interpretazione degli attori, molto evocativa e gesticolata, permette di comprendere lo stesso il senso delle battute, oltre ad avere una funzione comica.

La scenografia, essenziale e semplice, grazie all’uso sapiente delle luci ha permesso, con un gioco di ombre, di ben rappresentare il bosco, ovviando al problema di portare degli alberi sulla scena. L’uso articolato delle luci ha permesso, inoltre, di descrivere la dimensione onirica dalla quale si svegliano i quattro amanti illuminandoli alternativamente.

I costumi dei personaggi del mondo reale (mitico) sono, a mio parere, un po’ semplici, al contrario quelli del mondo irrazionale (magico) sono variopinti e ben ideati.

Grazie alla buona interpretazione degli attori, ci si dimentica di assistere ad uno spettacolo di attori semi-professionisti e ci si gode una rappresentazione ideata e costruita in modo magistrale.

 

Ottavia Umani

 

Per quanto mi riguarda posso dire con estremo piacere di aver apprezzato molto lo spettacolo Sogno di una notte di mezza estate, messo in scena dalla compagnia castellana di Francesco Summo.

Inizialmente “spaventata”  dal fatto che alcune parti erano recitate in dialetto piacentino, ho invece, dopo alcune battute, apprezzato proprio il fatto che lo spettacolo fosse rappresentato in maniera diversa.

Infatti,  pur non conoscendo il dialetto, sono riuscita a seguire  con attenzione e divertimento  il susseguirsi di scene e battute proposte dagli attori di Summo, che, a mio avviso, con una gestualità molto marcata e  spiritosa sono riusciti a rendere lo spettacolo unico e personale.

Un grazie particolare (senza nulla togliere ovviamente al resto degli attori) lo vorrei dedicare alla signora Bruna Molaschi, che nei panni di Rocchetto e Priamo è riuscita più volte a farmi sorridere.

Concludendo, volevo ringraziare l’intera compagnia,  ma soprattutto il regista Summo, che con il suo incontro post-spettacolo ci ha rivelato non poche curiosità sul mondo teatrale e sul suo ruolo di regista, rendendo così l’ incontro ancora più stimolante ed interessante, ed il nostro breve soggiorno a Castel S. Giovanni ancora più piacevole.

Un grazie di tutto cuore.

 

Tommaso Urban

 

Sicuramente buono il livello della rappresentazione del “Sogno di una notte di mezz’estate” di William Shakespeare messo in scena dal Teatro delle 13 File sotto la direzione di Francesco Summo, il quale ha operato un interessante adattamento in vernacolo del testo originale.

Questa resa, particolarmente apprezzata dal pubblico locale che rispondeva prontamente alle battute pronunciate in dialetto piacentino, evita fortunatamente di essere una banale traduzione e grazie ad un attento lavoro di rifinitura riesce a rispecchiare le differenze linguistiche che si trovavano in Shakespeare e persino a trasmettere qualcosa a chi è completamente all’oscuro della parlata locale, grazie all’uso di suoni spesso onomatopeici.

La distinzione dei “ceti sociali” operata dal linguaggio è fortunatamente coadiuvata da un buon uso dei costumi, che appaiono realistici per il mondo dei nobili, cartooneschi e dalle tinte pastello per i rappresentanti della foresta ed una sintesi dei due stili per i popolani, anche se la resa fortemente comica del mondo delle fate rischia di far sfumare sia la differenza tra questo mondo e quello popolare, che i paralleli con quello nobiliare. A questo proposito sono sicuramente rischiose le interpretazioni di Ippolita e Titania date dal regista e dalla sua squadra: se nell’originale elisabettiano erano figure che richiamavano l’ideale della castità qui troviamo rispettivamente la prima come donna sessualmente attiva e dominante e la seconda quasi una diva in decadenza con forti elementi caricaturali.

Altro elemento curioso è l’ovale perennemente posto al di sopra del palcoscenico che risulta essere forse troppo ermetico, perché pur passibile di diverse interpretazioni (richiamo ad opere del passato, simbolo della rinascita alla quale sono sottoposti i protagonisti, etc.) rischia di venire identificato come una semplice rappresentazione stravagante della luna e nulla più. Al contrario, molto azzeccata la soluzione “brechtiana” adottata per il “risveglio” dei quattro amanti che ben rende il loro stato emotivo e l’atmosfera generale. Vario il livello recitativo del gruppo dal quale spicca sicuramente Bruna Molaschi che ruba la scena e gli applausi con il suo Rocchetto. Ossessivo ma efficace il commento sonoro.

 

Vera Santillo

Il teatro del visibile

Attraverso un linguaggio che potremmo definire metonimico in quanto ombre di alberi si proiettano sul fondo per indicare un bosco giungiamo in un mondo misterioso,sfuggente,quello del sogno. La scenografia,non realistica,è capace non solo di indicare in maniera essenziale i luoghi dell’azione,ma accoglie i movimenti talvolta rapidi e scattanti,altre volte più composti dei personaggi. Tale gestualità viene smussata,in particolare nella scena finale dei quattro amanti. Questi sono gli unici,oltre a Bottom,a chiedersi cosa sia successo,a porsi degli interrogativi. Teseo non vuole saperne di andare più a fondo nel racconto delle due coppie:ha troppa fretta di consumare il suo matrimonio. E dall’alto del suo piedistallo pronuncia “la sentenza “che acconsente al matrimonio di Ermia con Lisandro. Ma mentre lo fa,egli è fuori dalla scena. Noi sentiamo la sua voce “fuori campo”mentre sul palcoscenico restano solo i quattro amanti. Lasciare che le due coppie di innamorati si congedassero così dalla scena,isolati dal resto della compagnia,con i volti illuminati da una semplice luce da lettura,fa pensare che il regista abbia voluto consegnarli al mondo dell’ombra,del sogno. Si sono talmente aggrappati al ricordo del loro sogno da non potersene separare. E,in effetti,si tratta di un sogno che sarà difficile dimenticare e sul quale continueranno a interrogarsi.  Così come succede con ogni caso strano,inconsueto della vita che non riusciamo a spiegarci.

Dunque,Lisandro, Ermia, Elena,Demetrio se ne vanno,lasciando il posto al gruppo degli artigiani che inscenano la lamentevolissima commedia di “Piramo e Tisbe”. Questo famoso esempio di teatro nel teatro, Summo lo interpreta così: fa costruire alla coppia reale un sipario per il dramma che di lì a poco  interpreteranno Bottom e compagni. Il sipario,che all’epoca di Shakespeare non esisteva,è il simbolo che rimanda più direttamente e più”visivamente” al teatro. Tanto è vero che una delle prime cose che ci si aspetta di trovare a teatro è un sipario,preferibilmente rosso.

Questa volontà di rendere leggibile la messa in scena è resa ancora più evidente dalla presenza sul palco di una coppia di musicisti. È chiaro che il regista intende ridare centralità alla visione,o meglio alla vista che è di certo il senso più sollecitato a teatro. Insomma,attraverso gesti carichi di espressività,talvolta di violenza,una musica che non solo crea atmosfera,ma grazie a coloro che la producono diviene parte integrante della scenografia,veniamo posti di fronte a una messa in scena che vuole essere il più possibile chiara,trasparente,assolutamente non ingannevole. Perchè è così che ci appaiono i sogni mentre li sogniamo:essi sembrano più veri della realtà. Nel sogno tutto è definito,ogni situazione,ogni azione ha un senso. È al risveglio che la vista si offusca e il sogno ci appare come qualcosa di confuso,indefinito,assurdo. Nella vita reale non è possibile “vederci chiaro”come accade invece nel sogno o a teatro. Paradossalmente,la vita è più sogno del sogno…è illusione,inganno.

 

Rosanna Marcianò

 

Quanto è grande un'opera teatrale, ha il potere di farsi rappresentare in ogni tempo, in ogni luogo, in ogni condizione atmosferica, con costumi, oggetti scenici, luci che ogni volta si trasformano come la lingua che cambia a seconda dello Stato in cui l'opera stessa viene spettacolarizzata.

 E il regista Francesco Summo in un piccolo paesino piacentino, Castelsangiovanni, ha messo in scena tutto questo in un' unica notte. Ha adattato la scrittura di Shakespeare al dialetto piacentino, cosa ambigua per un'opera di così gran prestigio...ma riuscita alla perfezione grazie ad un lavoro di collaborazione artistica tra i tanti attori ed il regista.

Per chi non ha mai letto "Sogno di una notte di mezza estate" è molto semplice farsi trasportare dalle varie emozioni che scena dopo scena vengono fuori. Chi invece la studia in profondità, osserva ogni minuscolo movimento, ogni sorriso, ogni pianto, ogni abito e ogni interpretazione in modo dettagliato arrivando, a volte, ad avere delle impressioni molto negative su quello che ha visto sul palcoscenico.

Appena seduta in platea, già tutto era particolarmente caloroso perchè intorno a me non c'erano le classiche persone abituè di teatro, ma c'era una grande famiglia entusiasta di vedere la recitazione di ogni singola persona-personaggio. Spente le luci in sala, il silenzio ricopre tutto e all'improvviso la voce del Duca ipnotizza le mie orecchie e da qui la storia comincia. Si alternano sul palco varie personalità e classi sociali: i personaggi della Polis, Teseo e la sua sposa promessa Ippolita; Egeo, padre di Ermia; il quartetto degli innamorati ovvero Ermia e Lisandro, Elena e Demetrio; gli artigiani e i personaggi magici Oberon e Titania; il demone e le fate al servizio della propria regina. Le battute si alternano con un aristocratico linguaggio ma ad un certo punto il senso di freddezza che provavo nell'osservare i personaggi viene colpito da una favolosa forma di leggerezza derivata dall'uso di una parlata a me poco conosciuta. Questa è la grandezza a cui accennavo prima, il grande potere di far sì che questa opera faccia divertire il pubblico con l'uso esclusivo del piacentino. Ma oltre al linguaggio anche i gesti, a volte eccentrici di qualche personaggio divertono e fanno meditare. Meditare per esempio sull' autenticità dell'amore dei quattro giovani ragazzi, così deboli da farsi ingannare da un liquido magico. Vediamo qui un' interpretazione di un grande Lisandro, e di una Elena con un abbigliamento troppo servile da come  lo aspettavo ma con una grande espressività di recitazione; un Demetrio molto dentro la parte e una Ermia forse troppo sognante.

Una figura particolarmente dirompente è invece quella di Rocchetto che con la sua immensa bravura e padronanza del palcoscenico forse rende meno visibili gli altri. Dico questo perchè a volte nel teatro accade che un attore sia talmente abile ad interpretare un personaggio, che il pubblico ha difficoltà a concentrarsi su un altro personaggio che calca la scena. Ma non per questo gli altri protagonisti sono meno bravi. Per esempio il gruppo degli artigiani esprime in modo perfetto l'unione che c'è non solo nello spettacolo ma anche al di fuori di esso. E se c'è una cosa fondamentale nella vita teatrale è che ogni attore deve unirsi ad un suo simile confrontandosi e aiutandosi, affinché tutto ciò che verrà inscenato sia circondato da un' ipotetica sfera che rappresenta la vera collaborazione artistica.

E veniamo ora al piccolo demone, personaggio principale per la riuscita della storia: vestito di verde come un vero folletto del bosco, usa la magia in modo errato perchè troppo sbadato capovolgendo così le vicende amorose . Egli però non viene "usato" solo come personaggio bensì come tecnico di scena, infatti con le sue gracili braccia prende in mano un macchinario e si dimena sul palco spruzzando quà e là del fumo per creare degli effetti speciali, che non sarebbero risultati così reali se la macchina fosse stata fissa.

Tutti i personaggi si muovono sotto una grande luna accompagnati da due musicisti visibili al pubblico come nel passato...trovata geniale che per me sta a rappresentare l'anello di congiunzione tra passato presente e futuro, ovvero anche se i tempi cambiano tutto può rivelarsi magico in una notte di mezza estate.

 

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